Marina Abramović (1946, Belgrado) è una performance artist attiva dagli anni ‘70. Nel suo lavoro esplora la relazione tra performer e pubblico, i limiti del corpo e le possibilità mentali nelle perfomances rituali centrate su autolesionismo fisico, lunga durata e trasformazione emotiva e spirituale.
Abramović è figlia di ex partigiani della Seconda Guerra Mondiale. Entrambi i genitori erano membri del Partito Comunista di Tito. La dura educazione di stampo militare ricevuta dalla madre è stata oggetto di numerose discussioni riguardo alle sue performances.
Dopo gli studi all’accademia d’arte di Belgrado e Zagabria, Abramović si è interessata sempre più alla performance come forma d’arte visiva.
A Belgrado ha realizzato diverse performances centrate su riti e dolore fisico. Durante una di queste, “Rhythm5”, ha perso coscienza mentre era in piedi al centro di una stella comunista in fiamme ed è stata salvata da un membro del pubblico.
Nel 1976 Abramović ha lasciato Belgrado per trasferirsi ad Amsterdam, dove ha iniziato un’intensa relazione personale e professionale con l’artista tedesco Uwe Laysliepen alias Ulay. La coppia si è proposta come un corpo a due teste, esplorando temi come l’alter ego, l’altro e l’identità artistica, i binomi opposti corpo e mente, natura e cultura, attivo e passivo.
Come nei suoi precedenti lavori, le performances con Ulay erano centrate sul dolore e lo sfinimento fisico ed emotivo. La loro ultima performance, “Lovers” (1988), è stata un viaggio spirituale per terminare la loro relazione. I due hanno percorso tutta la Grande Muraglia Cinese, partendo dalle estremità opposte e incontrandosi al centro, percorrendo ciascuno una distanza di più di 1500 miglia.
Nel 1997 Abramović ha vinto il Leone d’Oro alla Biennale di Venezia per “Balkan Baroque”,
un lavoro in video e performance, nel quale lavava con una spazzola centinaia di ossa bovine.
Nel 2005 ha realizzato “Seven Easy Pieces” al Museo Guggenheim di New York, rimettendo in scena sette performances, di cui due erano sue e cinque di altri artisti. Ogni performance durava sette ore.
Nel 2010 il Museum of Modern Art di New York le ha dedicato un’imponente retrospettiva, la più grande mostra di performance art nella storia del MOMA. Durante la mostra, Abramovic ha realizzato la più lunga performance ad oggi, “The Artist is Present”, sedendo di fronte allo spettatore per 737 ore, immobile e in silenzio.
Nel 2007 Abramović ha aperto una fondazione per la preservazione della performance art, convinta che il commercio d’arte e le severe misure di sicurezza dei musei ne compromettano la forma.
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