Domenico
Viglione nacque a Mondovì Piazza il 5 luglio 1877. Studiò canto a Milano, dove
frequentava la facoltà di veterinaria (poi abbandonata), e successivamente al
Conservatorio di Pesaro, allora diretto da P. Mascagni, sotto la guida di L.
Leonese. Aggiungendo al proprio cognome quello della madre (Borghese), debuttò
a Lodi, nel 1899, quale Araldo nel Lohengrin,
passando poi a Bologna (Teatro Duse, Lohengrin),
Torino (Teatro Balbo, protagonista della novità Atal-Har di Dall’Olio) e Bergamo (Valentino nel Faust). Insoddisfatto dei propri esordi
operistici, emigrò in America, svolgendo varie attività, anche umili, a San
Francisco. Ascoltato occasionalmente da Enrico Caruso, fu indotto dal celebre
tenore a riprendere la carriera e, nel 1905-06 cantò in Messico nella compagnia
diretta da Luisa Tetrazzini. Successivamente si esibì in Sud America nella
compagnia Scognamiglio.
Rientrato in Italia, si affermò con grande successo al
Teatro Regio di Parma nel 1907 come Amonasro in Aida. Cantò poi nei principali teatri italiani, spagnoli e
argentini, in un ampio repertorio comprendente Rigoletto, Trovatore, Otello, Gioconda, La Wally, Pagliacci, Tosca.
Nel 1910 debuttò alla Scala nell’Africana
e nel 1911 cantò per la prima volta la Fanciulla
del west al Teatro Grande di Brescia, facendo del personaggio dello
Sceriffo il proprio capolavoro d’interprete vocale e drammatico, ammirato dallo
stesso Puccini, che in una dedica lo definì “principe degli Sceriffi”. In
questo ruolo trionfò nei più importanti teatri, tra cui il San Carlo di Napoli
e l’Opéra di Parigi (1912), il Liceo di Barcellona (1915), il Regio di Torino
(1924), la Scala (1930), l’Opera di Roma (1940).
Secondo la definizione di Eugenio Gara,
Viglione Borghese ebbe voce «sonora, gagliarda, “cattiva”, adatta ad esprimere
soprattutto l’odio, il furore, la sete di vendetta, tutto ciò che è scritto
nelle sacre tavole della religione dei baritoni». Fu molto apprezzato per le
qualità sceniche (il suo viso era per natura una maschera mobilissima) e per
l’incisività dell’accento: doti che, unite alla voce bella e di grandissimo
volume, fecero del baritono monregalese uno degli artisti più apprezzati della
prima metà del ‘900. Ritiratosi dalle scene nel ’40 (Fanciulla del west all’Opera di Roma), si dedicò per una decina d’anni
all’attività cinematografica, prestando la sua abilità di attore caratterista a
una ventina di pellicole, tra cui Piccolo
mondo antico, Giacomo l’idealista, Il cielo sulla palude, Il mulino del Po e Il diavolo in convento. Scrisse anche un sapido volume di memorie
(Due ore di buonumore).
Morì a Milano il 26 ottobre 1957. Riposa
nella tomba di famiglia nel cimitero di Mondovì.
Dalla «Gazzetta di
Mondovì», ottobre 1957:
La morte del baritono
Comm. Domenico Viglione Borghese
E’
giunta da Milano, dove Egli in questi ultimi anni aveva insegnato arte scenica
al Conservatorio Musicale, la cara spoglia del baritono comm. Domenico Viglione
Borghese, per essere inumata nella tomba di famiglia nel cimitero di Mondovì.
Il baritono Domenico Viglione Borghese
certamente rappresenta un punto fermo nella storia dell’interpretazione
musicale non solo per le eccezionali sue
possibilità canore che lo posero subito in primo piano fra i cantanti del suo
tempo ma anche per la dolcezza timbrica del suo bel canto, e soprattutto per la
liricità delle sue interpretazioni sceniche, che fecero di lui non
semplicemente un buon baritono, ma un ottimo interprete, un geniale artista.
E queste sue virtù sceniche Egli coltivò,
anche più tardi, quando, ritiratosi dalla lirica, calcò i teatri di posa in
riuscitissime interpretazioni cinematografiche.
Bizzarra fu la sua vita d’artista, ce la
racconta egli stesso in un libretto autobiografico, senza ostentazioni, forse
con amare riflessioni, a volte, che ci dicono l’animo suo sensibile e buono,
aperto ai dolori e alle gioie della vita.
Studente fu sbarazzino e spensierato, come
tutti gli studenti di scuole d’arte di quel roseo e facile fine Ottocento,
bohèmien un po’ sul serio un po’ per posa, come tutti,. con una nera e fluente
capigliatura al vento, uno spartito sotto il braccio, tanti sogni che per Lui a
poco a poco dovevano divenire realtà. Ed eccolo poi, applauditissimo sempre, in
Europa e in America, ora Rigoletto insuperato, ora inimitabile Scarpia, ora Cristoforo
Colombo…
Puccini gli dedicò lo spartito della
«Fanciulla del west» chiamandolo il
miglior Sceriffo, e al suo nome non si lega questo solo debutto!
Egli amava Mondovì, la sua città natale.
Ogni anno veniva dalla fragorosa Milano su a Piazza, a riposare lo spirito. E
chi non lo ricorda con la chioma bianca e fluente su quel meraviglioso
proscenio di Piazza Maggiore, fermarsi a stringer mani, e a salutare con largo
gesto, direi sacerdotale, o seduto in Belvedere, o più giù in Piazza d’Arme
guardare, quasi assorto in chissà quali melodie, la sua terra, ricca di ombre e
di colori!
Ora Egli è morto: al
rimpianto della città natale si unisce il nostro e di quanti Lo ammirarono e
Gli vollero bene. (m.a.a.)
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