Nato
a Mondovì il 18 luglio 1884, il tenore Emilio Aimo studiò a Milano con i
maestri Vanzo e Rosati, debuttando al Teatro di Sassuolo nei Pagliacci. Nel gennaio 1913 cantò il
ruolo di Folco nell’Isabeau di
Mascagni al Teatro Ponchielli di Cremona. L’editore Sonzogno, presente alla
recita, lo scritturò nella medesima opera per i teatri di Pisa e di Salò.
Nell’opera mascagnana riconfermò il proprio successo al Sociale di Como, ma lo
scoppio del primo conflitto mondiale lo costrinse ad interrompere la carriera.
Il 18 giugno 1916 partecipò al grande concerto benefico ai Giardini Reali di
Torino, accanto ai colleghi Rinaldo Grassi, Vanni Marcoux e Nicola Fasciolo,
cantando brani della Gioconda. Nel
dicembre del medesimo anno tenne un concerto nella Sala Comunale di Rivarolo
(Torino)
Dopo la guerra, riprese la carriera
cantando come protagonista l’Otello
di Verdi al Teatro Sociale di Tortona (novembre 1922) e, nel gennaio
successivo, al Metastasio di Prato. Poi, del tenore Aimo si perdono le tracce.
Sembra che si sia ritirato dalle scene per dedicarsi ad attività di
rappresentante di commercio.
Non abbiamo incisioni di Aimo, né ci
aiutano le recensioni troppo scarse per giudicare la sua voce. Ma dovette
trattarsi di un tenore drammatico se fu in grado di farsi apprezzare in opere
come Pagliacci, Isabeau e Otello. L’unico
giudizio sul cantante lo troviamo ne Il
Messaggero, che dopo una recita di Isabeau
così scrisse: “Non ricordiamo di avere assistito ad un trionfo simile a
quello che il numeroso ed intelligente pubblico ha tributato ad Emilio Aimo”.
Dimenticato da tutti, il tenore si spense
il 29 marzo 1963 nella Casa di Riposo di Vicoforte e La Gazzetta di Mondovì diede notizia della sua morte il 6 aprile.
Dalla «Gazzetta di
Mondovì», 6 aprile 1963:
Scompare uno dei
protagonisti di un fortunato
periodo di vita
cittadina ricco di espressioni d’arte
Il
tenore EMILIO AIMO
Nella
malinconica ospitalità del suo ultimo rifugio, a Vicoforte, si è spento Emilio
Aimo. Aveva 79 anni ma da molto tempo la sua esistenza si era incurvata sotto
il peso delle sofferenze e, più ancora, delle sfortune.
Scompare la popolare e caratteristica
figura, bonaria e sorridente, per molti tratti evocativa di una stagione ben
diversa dalla nostra. E scompare uno dei protagonisti di quel fortunato periodo
di vita cittadina che fu dovizioso di valori in ogni esplicazione d’arte.
La notizia funerea adduce alla commozione
di molti ricordi. Fa riandare a quel primo ventennio del ‘900, ancora caldo di
memorie del grandissimo Giambattista Quadrone, che ha avuto tanto spicco grazie
ai trionfi internazionali di Domenico Viglione Borghese e di Bartolomeo Dadone,
ai felici esordi di pittori quali Guido Montezemolo e Nino Fracchia, al coro di
accese speranze destato da quell’acclamato interprete dei repertori verdiani e
pucciniani che fu Giuseppe Testa.
La carriera teatrale di Emilio Aimo ebbe
il suo inizio a Milano, alla scuola del maestro Rosati. Aimo superava
brillantemente la fase di impostazione razionale delle sue poderose risorse
canore, la critica specializzata nel particolare settore lo considerava tra le
migliori promesse del teatro lirico italiano. Il debutto, a Sassuolo, coi Pagliacci fu nettamente positivo.
Nel
1913, mentre Viglione Borghese riconsacrava la sua gran fama nei più grandi
teatri del mondo, mentre Testa era acclamato al Regio di Parma, Guido
Montezemolo collocava opere sue nelle primarie gallerie europee, Nino Fracchia
vinceva il concorso per la decorazione pittorica del monumento nazionale di
Marene e Malfatti già si era piazzato con molto onore nel concorso per il
monumento ai Mille sullo scoglio di Quarto, Aimo si aggiudicava larghi consensi
come interprete dell’Isabeau a
Cremona ed a Pisa. Il «Messaggero» scriveva testualmente: «Non ricordiamo di
aver assistito ad un trionfo simile a quello che il numeroso ed intelligente
pubblico ha tributato ad Emilio Aimo».
Fra i tanti successi del nostro amico
ricordiamo quello conseguito in una memorabile edizione di Gioconda al Giardino
Reale di Torino, sotto un cielo trapunto di stelle e in un’atmosfera di
suggestioni e di entusiasmo.
Vennero poi gli anni della guerra, le ore
impegnative per la grande e tragica partita che i politici e i militari avevano
decisa e i cui ben meritati frutti, irrorati da fanti generosi ed eroici
sacrifici, gli stessi alleati in parte ci defraudarono.
Nella vita di Emilio il destino subì una
diversione ingenerosa. Le ugole d’oro sono insidiate da circostanze
assolutamente imprevedibili, crudeli, fortuite. Quando il maleficio si compie i
beniamini delle folle sono ridotti alla segregazione da quel mondo brillante
che li aveva lusingati, dando loro tanti onori e tante emozioni.
Però esiste attorno a loro, anche se
talvolta invisibile, un alone di affetti e di simpatie. Quanti dagli artisti
ricevettero il dono di ore serene, di evocazioni moderatrici delle inquietudini
e affinatrici dell’animo, serbano gratitudine.
Così è stato per Emilio Aimo sin che
visse, così sarà ancora. (m. p.)
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